Mari e Janezeck in salsa ginzburgprouistiana. Ovvero la fenomenologia dello zoccolo


I miei romanzi del 2017 non sono romanzi.
Uno è un’autobiografia in chiave gotica (Leggenda privata di Michele Mari, Einaudi 2017), l’altro è una biografia romanzata (La ragazza con la Leica Helena Janeczek, Guanda 2017).
Mari racconta la sua terribile epica privata, cercando di proiettare su un’”Accademia” di mostri kitsch (quello che Biascica, quello che Gorgoglia, il Mocogeno) le nevrosi maturate all’interno di una famiglia disfunzionale, composta da un padre genio anaffettivo e una madre vittima sofferente. L’Accademia, nella cornice fantasmatica, commissiona il testo all’autore e lo giudica in corso d’opera, criticandolo quando indugia, elogiandolo quando affonda impietosamente nelle ferite intime.
Tra gli episodi più “premiati” svetta quello dell’enuresi notturna, in vacanza, nel letto condiviso col padre, la cui reazione irritata non fa che acuire la prostrazione del figlio, “sappi che quello che vivi io l’ho già vissuto quando avevo la tua età, per cui non c’è nulla nella tua mente che non mi sia noto”, è il monito ricorrente nei confronti di un figlio che al cospetto del padre si sente infinitesimamente piccolo e inutile. Mari ci fa entrare nel suo lessico famigliare, fatto di parole (“culattina”) e oggetti (gli zoccoli della cameriera) feticcio, reliquie di un subconscio tormentato.
Di tutt’altra natura è l’opera della Janaeczeck, che racconta la vita realmente epica di Gerda Taro, ebrea polacca, fotografa e militante nei movimenti per i lavoratori, nata nel 1910 e morta a soli 26 anni mentre documentava la guerra civile spagnola. Il romanzo si articola su tre voci narranti. Gerda, e assieme a lei il periodo storico che attraversa, viene raccontata da due uomini che con lei hanno avuto una relazione, e da un’amica, Ruth. La narrazione procede attraverso sequenze di ricordi, frammentaria ma piena di momenti di illuminazione e curiosità insaziabili. Si delinea un personaggio ricco di fascino, una donna appassionata e allo stesso tempo mondana che fa innamorare chiunque. Gerda, piccola, minuta, sorridente, diventa il grande amore del fotografo ungherese conosciuto col nome di Robert Capa, personaggio che lei stessa contribuisce a costruire, lei da lui impara a usare la Leica. Sono una coppia picaresca, guidata, tra le altre cose, da una grande complicità e un forte senso dell’avventura.
La memoria, fragile, frammentaria e potente, unisce i due romanzi che si fondano entrambi sull’accumulo di dettagli. Il corredo fotografico, inquietante album di famiglia o testimonianza storica, è una presenza fondamentale in entrambi i testi, con il potere di veicolare storie autonomamente dal testo, creando una narrazione nella narrazione: le immagini di Michele Mari bambino serio, imbronciato, lui accanto al padre, identici, le foto della famiglia materna assieme a Montale,

e poi Gerda e Robert che si guardano sorridenti, attratti reciprocamente, Gerda che indossa le calze ammiccando all’obiettivo. Dentro le immagini ci sono indizi: oggetti dimenticati nell’inquadratura, personaggi secondari, espressioni che sfuggono, fili narrativi che arricchiscono le narrazioni verso nuovi risvolti possibili.

0 commenti:

Posta un commento