Almectomìa

Autore Orfeo Raspanti.

Quando presi la decisione, ci fu da discutere in famiglia e fuori, tra chi sosteneva che le operazioni sono sempre pericolose, chi allarmava sui pericoli dell’anestesia, ma i più agguerriti erano coloro che sostenevano l’impossibilità di vivere senza. A costoro feci numerosi esempi di persone che erano nate senza, oppure l’avevano atrofizzata; nominai amicizie comuni senza convincerli, e affermai che tutti i grandi dittatori della storia ne erano certamente sprovvisti. Fui subissato da astruse teorie sulla capacità umana di occultare la presenza e il lavoro di certi organi. Da parte mia chiudevo queste insulse discussioni con esempi inequivocabili di preti e suore che a dispetto del predicare e delle preghiere gettate nell’etere, non ne conoscevano neppure il nome.
Devo ammettere però che qualche dubbio si era intrufolato nelle mie certezze e perciò mi rivolsi ad un grande specialista, il dottor Cocciante fu lapidario nell’affermare che non solo si poteva vivere senza, ma diversi studi sostenevano, con ragioni tutt’altro che bislacche, che addirittura si potesse vivere molto meglio. Questo aspetto era controverso poiché tra i fautori dell’assenza c’era chi si diceva in grado di dimostrare che la mancanza poteva essere tollerata solo da alcuni; mi convinsi senza più tentennamenti di essere fra questi e chiesi al dottore di operare. L’intervento si sarebbe svolto da sveglio, il dolore era quasi assente e l’ostacolo maggiore era il reperimento dell’organo, vagante di natura e propenso a stabilirsi in luoghi diversi e particolari per ogni persona. Cominciammo con l’intestino, la cavità dove più spesso si annida, contrariamente al pensiero comune che la situa nel cuore. La ricerca nel budellone comporta una preparazione meticolosa, l’orrenda cloaca deve essere nettata come il capezzolo di una balia. Una settimana prima devono sparire dalla dieta frutta verdura e tutto ciò che contiene fibre; tre giorni prima via anche carne cereali e cibi solidi in genere; puoi nutrirti solo di cremine budini brodini lisci lisci senza neppure un frustolino corposo, fino all’ultimo giorno quando occorre sottoporsi alla PURGA. Si tratta di ingollare orrendi beveroni densi sciropposi dolcissimi e salatissimi a un tempo, seguiti da un numero di litri d’acqua da traversata desertica e col ventre gonfio come uno zeppelin porsi all’attesa, preferibilmente già seduti sulla tazza per non farsi sorprendere all’apertura delle cataratte. Tralascio i dettagli conclusivi dell’operazione che se a buon fine, donerà alla parete intestinale una brillantezza da suscitare gli elogi del cercatore. Costui varcherà l’orifizio anale, insufflerà aria nella cavità per creare spazio visivo, e con una sonda fornita di occhio elettronico, constatato il nitore dell’ambiente, si baloccherà fiutando ogni interstizio come un lagotto nella boscaglia. Nel mio caso nessuna traccia fu scoperta.
Passammo a sondare l’apparato cardio circolatorio: cateteri aterovenosi infilarono aorta succlavia giugulare femorale carotidea renale radiale poplitea polmonare e via via vai di qua e di là come nuotando tra globuli bianchi rossi emoglobina protrombina, ma ogni volta si finiva a cozzare contro le pareti del sacro muscolo senza ombra di lei.
Mi sottoposi a ecografia scintigrafia radiografia tomografia assiale computerizzata risonanza magnetica, ma ogni diavoleria escluse la presenza. Il dottor Cocciante formulò persino l’ipotesi che ne fossi sprovvisto dalla nascita, l’idea naufragò appena seppe delle lacrime che verso durante la visione di commedie sentimentali. Vidi la frustrazione disegnata sul suo volto, poi mi trasse a sé e con fare confidenziale disse - sto per darle un consiglio che negherò con tutte le forze fino a denunciarla per calunnia oltraggio e vilipendio, qualora in futuro lei si facesse sfuggire quanto sto per indicarle, penso però che dovrebbe rivolgersi a qualcuno che legge l’aura, so che hanno costruito macchine in grado di riprodurla graficamente - Fu lì che la trovammo.
Quando portai l’esito al dott. Cocciante lo vidi aprirsi in un sorriso inedito – lei è un uomo fortunato – disse – vive avvolto nella propria anima e non potrà eliminarla, è fuori dal suo corpo e la protegge. Si rassegni non sarà mai un bello senz’anima e continuerà a piangere al cinema.

Queste parole mi rasserenarono e chiesi – una curiosità dottore: se avessimo trovato l’anima nel corpo, quale tecnica avrebbe usato per toglierla?

Il medico rispose serafico: - l’anima è meno attaccata al corpo di quanto si creda e neppure si nasconde, quando la s’incontra e davvero si desidera allontanarla è sufficiente pronunciare la formula “sciò pussa via” per vederla svanire con aria sdegnata -.

Rassegna "Ti presento un libro"



Venerdì 2 febbraio ore 20.30
Muriel Pavoni presenta: Fermata al Tramonto con cimitero
dialogherà con l'autrice Renato Sartiani


Venerdì 9 marzo ore 20.30
presentazione del romanzo di Marina Sangiorgi: La vera gloria
interverranno Muriel Pavoni e Giorgio Zabbini

Tutti gli incontri si terranno presso la biblioteca comunale Mario Visani Via Giovanni XXIII, Borgo Tossignano

Mari e Janezeck in salsa ginzburgprouistiana. Ovvero la fenomenologia dello zoccolo


I miei romanzi del 2017 non sono romanzi.
Uno è un’autobiografia in chiave gotica (Leggenda privata di Michele Mari, Einaudi 2017), l’altro è una biografia romanzata (La ragazza con la Leica Helena Janeczek, Guanda 2017).
Mari racconta la sua terribile epica privata, cercando di proiettare su un’”Accademia” di mostri kitsch (quello che Biascica, quello che Gorgoglia, il Mocogeno) le nevrosi maturate all’interno di una famiglia disfunzionale, composta da un padre genio anaffettivo e una madre vittima sofferente. L’Accademia, nella cornice fantasmatica, commissiona il testo all’autore e lo giudica in corso d’opera, criticandolo quando indugia, elogiandolo quando affonda impietosamente nelle ferite intime.
Tra gli episodi più “premiati” svetta quello dell’enuresi notturna, in vacanza, nel letto condiviso col padre, la cui reazione irritata non fa che acuire la prostrazione del figlio, “sappi che quello che vivi io l’ho già vissuto quando avevo la tua età, per cui non c’è nulla nella tua mente che non mi sia noto”, è il monito ricorrente nei confronti di un figlio che al cospetto del padre si sente infinitesimamente piccolo e inutile. Mari ci fa entrare nel suo lessico famigliare, fatto di parole (“culattina”) e oggetti (gli zoccoli della cameriera) feticcio, reliquie di un subconscio tormentato.
Di tutt’altra natura è l’opera della Janaeczeck, che racconta la vita realmente epica di Gerda Taro, ebrea polacca, fotografa e militante nei movimenti per i lavoratori, nata nel 1910 e morta a soli 26 anni mentre documentava la guerra civile spagnola. Il romanzo si articola su tre voci narranti. Gerda, e assieme a lei il periodo storico che attraversa, viene raccontata da due uomini che con lei hanno avuto una relazione, e da un’amica, Ruth. La narrazione procede attraverso sequenze di ricordi, frammentaria ma piena di momenti di illuminazione e curiosità insaziabili. Si delinea un personaggio ricco di fascino, una donna appassionata e allo stesso tempo mondana che fa innamorare chiunque. Gerda, piccola, minuta, sorridente, diventa il grande amore del fotografo ungherese conosciuto col nome di Robert Capa, personaggio che lei stessa contribuisce a costruire, lei da lui impara a usare la Leica. Sono una coppia picaresca, guidata, tra le altre cose, da una grande complicità e un forte senso dell’avventura.
La memoria, fragile, frammentaria e potente, unisce i due romanzi che si fondano entrambi sull’accumulo di dettagli. Il corredo fotografico, inquietante album di famiglia o testimonianza storica, è una presenza fondamentale in entrambi i testi, con il potere di veicolare storie autonomamente dal testo, creando una narrazione nella narrazione: le immagini di Michele Mari bambino serio, imbronciato, lui accanto al padre, identici, le foto della famiglia materna assieme a Montale,

e poi Gerda e Robert che si guardano sorridenti, attratti reciprocamente, Gerda che indossa le calze ammiccando all’obiettivo. Dentro le immagini ci sono indizi: oggetti dimenticati nell’inquadratura, personaggi secondari, espressioni che sfuggono, fili narrativi che arricchiscono le narrazioni verso nuovi risvolti possibili.