Nel caso non mi riconoscessi, di Francesca Capossele

Un romanzo che inizia e finisce con una domanda alla quale molti vorrebbero dare risposta (i personaggi del romanzo, il lettore, la protagonista e forse l’autrice stessa), però nessuno sembra in grado di dare una versione univoca, ma diverse ipotesi con altrettanti gradi di approssimazione.
La domanda è: chi è Alda?
Se della sua storia si sa tutto, perché il romanzo abbraccia settant’anni della sua vita, di lei e delle ragioni che l’abbiamo portata a fare certe scelte, si sa poco. Eppure troviamo, disseminate nel romanzo, alcune tracce che conducono ciascun lettore alla propria imprecisa e affascinante istantanea.
La narrazione inizia con una fuga, quella di Alda - trentenne ferrarese -, da una famiglia, una città e un fidanzato, fugge verso una vita all'apparenza più avventurosa, raggiunge un uomo conosciuto durante la guerra, l’Hauptmann Stephan Felder, che vive a Lipsia. La donna fugge distruggendo il suo passato assieme al suo documento d’identità e diventa Carin Felder. La sua vita, nella Germania Est, è tutt’altro che idilliaca e il suo matrimonio poco convenzionale, sopperiscono amici come Anita, Hans e Gitta, ma Alda non cede mai a nessun rimpianto e diventa, man mano che si procede con la narrazione, sempre più rinserrata nel suo personale mistero.
Il libro si sviluppa in tre atti, i primi anni della guerra a Ferrara, l’avventura con l’Hauptmann assieme alle normali vicende di un’adolescente (Alda) e quelli successivi che culminano con la fuga, la vita nella DDR, la costruzione del muro, la Stasi, periodo in cui Alda diventa Carin, verrà spiata e spierà a sua volta, i tradimenti suoi e del marito, la perdita di un bambino, infine la caduta del muro, la resa dei conti con la propria vita e la morte; tutti e tre gli atti intrecciano sapientemente vite e vicende storiche, tutti e tre procedono avanti e indietro con un meccanismo narrativo vorticoso che fa largo uso di flashback e anticipazioni e uno stile evocativo ricco di momenti lirici e profondi, in cui la storia è piena, ma a volte appena accennata, suggerita e sfuggente, altre volte rallenta e pone i fatti sotto una lente di ingrandimento, anche se sono i personaggi, con le loro ragioni e le loro rotture a sorreggere l'ossatura del romanzo.
Una materia narrativa, quella di Francesca Capossele, ricca e tortuosa che impone al lettore attenzione e immersione. Un romanzo profondo che non offre nessuna risposta ma apre numerose questioni che non si esauriscono con l'ultima intensissima pagina del romanzo.

Presentazione del libro "Nel caso non mi riconoscessi" di Francesca Capossele




Sabato 4 maggio, ore 17:30
Libreria Mondadori
c/o Palazzo Monsignani
Via Emilia 71, Imola
presentazione del libro
"Nel caso non mi riconoscessi"
di Francesca Capossele
FANDANGO Playground
dialoga con l’autrice Muriel Pavoni


Il libro
Perché una giovane donna italiana decide di fuggire nella Germania Orientale in una notte del 1953, in piena Guerra Fredda, senza lasciare una sola parola che spieghi la sua scelta? All’epoca Alda è una laureata in matematica, che vive a Ferrara con i genitori. Ha vissuto un’adolescenza e una giovinezza piccolo borghesi, tra certezze politiche (era una giovane fascista convinta) e sogni di matrimoni improbabili, temporaneamente interrotti dalla guerra che ha costretto la famiglia a sfollare in campagna. Dopo la Liberazione, sebbene a rilento, Alda ha proseguito gli studi, per poi fidanzarsi con Ruggero, un agente di polizia conosciuto su un treno per Padova. Ma proprio in prossimità delle nozze con Ruggero, di notte, con una valigia e una borsa a tracolla, Alda fugge e raggiunge la Germania Orientale dove vivrà fino alla caduta del Muro di Berlino. Una scelta sentimentale? Un uomo l’attende a Lipsia? Oppure nuove e forti convinzioni politiche? O più semplicemente una irrefrenabile ricerca di libertà, paradossalmente in un paese dove nessuno si sente libero?
Francesca Capossele ricostruisce il vissuto dei cittadini della Germania Orientale (la paura, le privazioni, i compromessi) e quello personale di Alda, l’italiana fuggita dall’Occidente, riuscendo a combinare la precisa descrizione dei meccanismi del regime, ma anche la rivolta di una donna che ha rifiutato il destino assegnatole dall’appartenenza al suo ceto sociale e al genere femminile.

L'autrice
Francesca Capossele, nata Rovigo, vive a Ferrara, ha esordito nel 2016 con “1972”, FANDANGO Playground.

Intervista a Francesca Capossele

Francesca Capossele, esordisce con 1972, Playground 2017, già ospite di Viaemiliaventicinque a marzo 2018, esce con un nuovo romanzo (Nel caso non mi riconoscessi) sempre per Playground, il 4 maggio sarà nuovamente nostra ospite presso la libreria Mondadori di Imola.
Qui è intervistata da Muriel Pavoni


Cosa t'interessa, quali sono le tue ossessioni, narrativamente parlando?
le ossessioni. Non è semplice. Mi ossessiona la scrittura, che sia senza fronzoli e intellettualismi da liceo classico, ma che emozioni e abbia comunque mestiere. Che vibri dei ricordi di tutti gli autori che ho amato e a cui debbo tutto, ma non sia una copiatura, o un rifacimento sterile. Che suggerisca e spieghi, che non sia troppo di genere, non ho simpatia per la letteratura " tutta al femminile ". Che lo scrivere un giorno diventi non soltanto appassionante come una caccia, ma gratificante e semplice come leggere ( ne sono molto lontana). Tutto il resto...è letteratura. ( sono troppo vecchia ormai per raccontare di me).

Come definiresti il tuo modo di scrivere? Che scrittrice sei?
Non riesco a pensare a me stessa come a una scrittrice, ho pubblicato troppo tardi per vivere questa ambita identità. Sono solo una che insegna lettere e legge molto, il resto è stato opera della buona sorte. Non considerandomi una scrittrice, mi vivo come lettrice appassionata dei libri degli altri, sono connessa alla scrittura degli altri, con i quali sono perennemente in debito per i modelli, le correzioni, i richiami, le magie, la lezione continua sulla vita e la scrittura che la letteratura fornisce.

Quali sono i tuoi autori preferiti o quelli che ti hanno influenzato?
La lista dei miei autori è lunghissima. Qui cito quelli con cui mi sento più in debito : Marguerite Duras, Alba de Cespedes, Dino Buzzati, Romain Gary, F. S. Fitzgerald, Rosetta Loy (potrebbe essere uno di quegli scrittori destinati a restare per sempre nella memoria, non solo collettiva).

Da quali autori non ti faresti mai influenzare?
Lista facile : A. Manzoni;  L. Pirandello; I. Svevo; I.  Calvino, e tutti gli autori che si servono della letteratura per inutili e forzati sperimentalismi formali o la usano  come pulpito per fiacche predicazioni pseudo-filosofiche.

Quali autori, tra quelli contemporanei, credi verranno ancora letti tra trent’anni?
Domanda difficile. Devo dire che non lo so. Non solo perché si pubblica molto, il livello è , molto spesso, buono, ma perché il nostro è un tempo che dimentica in fretta, produce molto, ma non conserva.

Qual è la caratteristica imprescindibile di un buon romanzo, secondo te?
Piacere, coinvolgere, comunicare tutta la felicità che l’autore ha provato nella scrittura.  Mantenere un angolo critico, ma esprimere ugualmente la magia della finzione.

Ci sono progetti letterari che hai abbandonato ancor prima di cominciare?
Quando ero molto giovane volevo scrivere un romanzo storico, su modello dei grandi del genere, poi la Storia, quella vera, è cambiata in fretta attorno a me, e mi sono sentita dentro una grande impotenza che non aveva a che fare con la scrittura, ma con la realtà.

Qual è - se c'è - il primo consiglio che dai a un aspirante scrittore?
Di leggere e vivere molto con liberta, autenticità e passione.

"I fratelli Michelangelo" di Vanni Santoni. La fuga e il ritorno nella saga familiare.


Un romanzo che tende, un po’ per stazza e un po' per il titolo che rimanda echi dostoevskiani, a richiamare modelli di realismo ottocentesco, ma in realtà per costruzione e stile è molto più vicino alla letteratura del novecento.
Si presenta come un affresco familiare, ricco di citazioni letterarie e non solo, sullo sfondo c'è un anziano padre, Antonio Michelangelo, che ha attraversato da (quasi) protagonista il secolo breve, disseminando figli con donne e mogli differenti.
Il camaleontico Antonio è ingegnere, come Gadda,  pare abbia militato nella resistenza, ha lavorato prima all'Olivetti poi all'ENI, simbolo di due Italie e due diversi modi di concepire l'industria, qui troviamo  il riferimento a "Petrolio" di Pasolini, ha pubblicato un solo romanzo sulla resistenza che però è stato un successo editoriale acclamato dalla critica, dove invece risuona l'esperienza di Calvino ne "Il sentiero dei nidi di ragno"; ha poi realizzato un film dal titolo "La sultana", di genere erotico che ricorda un po' "La califfa" e forse i film meno riusciti di Ferreri, anch'esso è diventato un cult pruriginoso, è stato poi incisore e si è dedicato alla ricerca spirituale sia attraverso le scritture sacre, sia attraverso le filosofie orientali. Quest'uomo "vincente" sembra il bignami dei sui figli, racchiudendone tutte le ambizioni.
Siamo di fronte a quattro storie, anche se i fratelli sono cinque, Adriana, nata negli anni 50, vicina per generazione al mondo del padre, non si presterà al gioco in cui Antonio ha deciso di coinvolgerli.
Cristiana, forse la più dotata di genio e intuizione, tenta una carriera artistica a Londra e a Berlino e deve farsi continuamente i conti in tasca per capire se deve rinunciare ai propri sogni, Louis cerca di svoltare con traffici più o meno leciti in India, Enrico, inconsapevole di essere suo figlio, insegnante che frequenta gli ambienti letterari romani con l'ambizione, forse, di scrivere un libro, Rudra sposato con Mats vive in Svezia, abbandona una possibile carriera nello sport per lavorare con i bambini, silenzioso e incline alla ricerca spirituale.
Il romanzo attraversa i grandi miti e anche i grandi rimossi di una generazione che sembrava chiamata a svoltare in vari campi e invece fa i conti con i propri fallimenti e i propri disperati e stanchi tentativi, oramai fuori dai limiti di età, di trovare nuove strade sempre più tortuose e impervie.
Da questo punto di vista appare chiaro il conflitto che scatena il romanzo, un conflitto sociale determinato da un padre che dal suo tempo ha avuto tutto: carriera (anzi carriere), una vita affettiva ricca (mogli, donne, figli) e una generazione, quella nata negli anni '70 e '80 del novecento, che partendo da premesse più che promettenti, si è scontrata con l'impossibilità di realizzare concretamente i propri progetti.
Più che di conflitto, però, trattandosi di un romanzo ben radicato nella sua epoca, è più opportuno parlare di contrapposizione, perché questa generazione, diversamente da quella precedente, non si accanisce sui padri ma accetta, quasi rassegnata, un destino che è quello di tentare di definire un'identità ben oltre i limiti di età (concessi) dal secolo precedente, cercando piuttosto di ottenere quel poco che si riesce a strappare da un padre che, invece, ha avuto tutto e che sogna, senza essere ricambiato, di trasmettere ai figli (anche qui fuori tempo massimo) le sue esperienze e insegnamenti di vita. In realtà tutto questo gioco di tempi sbagliati interverrà, inevitabilmente, la farsa.
Il romanzo è ambientato a Vallombrosa, località turistica decaduta, dove Antonio, con una parte della famiglia, andava in villeggiatura d'estate. Qui vengono chiamati a raccolta, da tutto il mondo e dai vari punti di fuga che hanno scelto, i fratelli, per una riunione di famiglia dai contorni imprecisati e qui le loro aspettative si scontreranno con la realtà. Procedendo per analessi e ritorni, vengono presentate le storie dei quattro figli che decidono di presentarsi e, solo di rimando, quella del padre, che rimane ai margini, sebbene sia troppo ingombrante la sua ombra per non riflettersi sulle vite di ciascuno. Lui, come ci si poteva aspettare da un personaggio dotato di tale narcisismo, non rinuncia al tentativo di architettare il colpo di scena finale di questo tormentato romanzo familiare, ma invece sarà Cristiana, o forse Enrico a scrivere la storia della famiglia?
I fratelli Michelangelo è un romanzo in bilico tra due modelli di realismo, quello ottocentesco e quello del novecento, arricchito da un gioco di citazioni che spazia dal mondo della letteratura, all'arte, e di rimandi alla storia del secolo scorso, che gioca coi registri narrativi, alterna i linguaggi, le voci narranti, fa un uso misurato dell'ironia, eppure non rinuncia però a quello che deve fare la narrativa, ovvero raccontare storie, mettere in scena personaggi coi loro conflitti ben contestualizzati all'interno del periodo storico in cui sono inseriti.