"I fratelli Michelangelo" di Vanni Santoni. La fuga e il ritorno nella saga familiare.


Un romanzo che tende, un po’ per stazza e un po' per il titolo che rimanda echi dostoevskiani, a richiamare modelli di realismo ottocentesco, ma in realtà per costruzione e stile è molto più vicino alla letteratura del novecento.
Si presenta come un affresco familiare, ricco di citazioni letterarie e non solo, sullo sfondo c'è un anziano padre, Antonio Michelangelo, che ha attraversato da (quasi) protagonista il secolo breve, disseminando figli con donne e mogli differenti.
Il camaleontico Antonio è ingegnere, come Gadda,  pare abbia militato nella resistenza, ha lavorato prima all'Olivetti poi all'ENI, simbolo di due Italie e due diversi modi di concepire l'industria, qui troviamo  il riferimento a "Petrolio" di Pasolini, ha pubblicato un solo romanzo sulla resistenza che però è stato un successo editoriale acclamato dalla critica, dove invece risuona l'esperienza di Calvino ne "Il sentiero dei nidi di ragno"; ha poi realizzato un film dal titolo "La sultana", di genere erotico che ricorda un po' "La califfa" e forse i film meno riusciti di Ferreri, anch'esso è diventato un cult pruriginoso, è stato poi incisore e si è dedicato alla ricerca spirituale sia attraverso le scritture sacre, sia attraverso le filosofie orientali. Quest'uomo "vincente" sembra il bignami dei sui figli, racchiudendone tutte le ambizioni.
Siamo di fronte a quattro storie, anche se i fratelli sono cinque, Adriana, nata negli anni 50, vicina per generazione al mondo del padre, non si presterà al gioco in cui Antonio ha deciso di coinvolgerli.
Cristiana, forse la più dotata di genio e intuizione, tenta una carriera artistica a Londra e a Berlino e deve farsi continuamente i conti in tasca per capire se deve rinunciare ai propri sogni, Louis cerca di svoltare con traffici più o meno leciti in India, Enrico, inconsapevole di essere suo figlio, insegnante che frequenta gli ambienti letterari romani con l'ambizione, forse, di scrivere un libro, Rudra sposato con Mats vive in Svezia, abbandona una possibile carriera nello sport per lavorare con i bambini, silenzioso e incline alla ricerca spirituale.
Il romanzo attraversa i grandi miti e anche i grandi rimossi di una generazione che sembrava chiamata a svoltare in vari campi e invece fa i conti con i propri fallimenti e i propri disperati e stanchi tentativi, oramai fuori dai limiti di età, di trovare nuove strade sempre più tortuose e impervie.
Da questo punto di vista appare chiaro il conflitto che scatena il romanzo, un conflitto sociale determinato da un padre che dal suo tempo ha avuto tutto: carriera (anzi carriere), una vita affettiva ricca (mogli, donne, figli) e una generazione, quella nata negli anni '70 e '80 del novecento, che partendo da premesse più che promettenti, si è scontrata con l'impossibilità di realizzare concretamente i propri progetti.
Più che di conflitto, però, trattandosi di un romanzo ben radicato nella sua epoca, è più opportuno parlare di contrapposizione, perché questa generazione, diversamente da quella precedente, non si accanisce sui padri ma accetta, quasi rassegnata, un destino che è quello di tentare di definire un'identità ben oltre i limiti di età (concessi) dal secolo precedente, cercando piuttosto di ottenere quel poco che si riesce a strappare da un padre che, invece, ha avuto tutto e che sogna, senza essere ricambiato, di trasmettere ai figli (anche qui fuori tempo massimo) le sue esperienze e insegnamenti di vita. In realtà tutto questo gioco di tempi sbagliati interverrà, inevitabilmente, la farsa.
Il romanzo è ambientato a Vallombrosa, località turistica decaduta, dove Antonio, con una parte della famiglia, andava in villeggiatura d'estate. Qui vengono chiamati a raccolta, da tutto il mondo e dai vari punti di fuga che hanno scelto, i fratelli, per una riunione di famiglia dai contorni imprecisati e qui le loro aspettative si scontreranno con la realtà. Procedendo per analessi e ritorni, vengono presentate le storie dei quattro figli che decidono di presentarsi e, solo di rimando, quella del padre, che rimane ai margini, sebbene sia troppo ingombrante la sua ombra per non riflettersi sulle vite di ciascuno. Lui, come ci si poteva aspettare da un personaggio dotato di tale narcisismo, non rinuncia al tentativo di architettare il colpo di scena finale di questo tormentato romanzo familiare, ma invece sarà Cristiana, o forse Enrico a scrivere la storia della famiglia?
I fratelli Michelangelo è un romanzo in bilico tra due modelli di realismo, quello ottocentesco e quello del novecento, arricchito da un gioco di citazioni che spazia dal mondo della letteratura, all'arte, e di rimandi alla storia del secolo scorso, che gioca coi registri narrativi, alterna i linguaggi, le voci narranti, fa un uso misurato dell'ironia, eppure non rinuncia però a quello che deve fare la narrativa, ovvero raccontare storie, mettere in scena personaggi coi loro conflitti ben contestualizzati all'interno del periodo storico in cui sono inseriti.

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